“Riemendamento” Filippi, i perché del nostro NO

Torniamo anche oggi -non ce ne siamo mai allontanati- sull’argomento “targa e bollo per le bici”, per esaminare dal nostro punto di vista cosa c’è che non va nella per ora solo annunciata riformulazione dell’ormai noto emendamento Filippi al Codice della Strada. Vediamone insieme la riformulazione:

“c-bis) la definizione, nella classificazione dei veicoli, senza oneri a carico dello Stato e attraverso un’idonea tariffa per i proprietari: [… parte dedicata alle motoslitte…]
2) delle biciclette e dei veicoli a pedali adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone, individuando criteri e modalità d’identificazione delle biciclette stesse nel sistema informativo del Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, nonché la circolazione delle stesse con un apposito contrassegno identificativo e l’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi;”.

Il primo punto da rilevare è: perché inserire una normazione sul lavoro di alcune categorie nel Codice della Strada? Nel Cds si normano veicoli e infrastrutture, comportamenti alla guida, ma non certo le professioni (non ci risulta per esempio che vi siano norme sui pony express che usano il loro motorino, fenomeno pluridecennale ma stranamente scomparso dal radar di Filippi, né tantomeno sui loro mezzi); questa regolamentazione appartiene ad altre competenze normative.

Secondo punto, direttamente conseguente: perché, se il problema rilevato nella sua autonomia dal senatore, è la normazione delle attività commerciali legate ai mezzi a pedali, si intende intervenire sul mezzo e non sulla persona? Come se una guida turistica dovesse omologare chessò, la sua radiolina o gli altri strumenti del suo lavoro. La guida turistica, come invece logico, ha una licenza per svolgere la sua professione: al pari -e si torna in strada- dei tassisti. Logica vorrebbe dunque che normare la professione significhi studiare regole che si applichino alle persone, non agli strumenti di lavoro.
Terzo punto, l’ennesima ambiguità del lessico senatoriale porta a un possibile, anzi certo, problema per le biciclette destinate all’affitto o persino al bike sharing comunale: parlare di “biciclette e dei veicoli a pedali adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone” vuol dire includere anche le due categorie sopra citate nella normativa. Va da sé che la disparità di trattamento, soprattutto nel primo caso, potrebbe ampiamente portare all’estensione della normativa a tutte le biciclette italiane: qual’è la differenza “meccanica” tra una bici del noleggio e la nostra personale? Nessuna. Da qui alla targa e bollo per tutti il passo non è solo breve, è anche piuttosto ovvio.

Quarto rilievo, questo in realtà politico: si sente il bisogno di questo intervento, in totale controtendenza col resto del mondo? La nostra risposta è NO. La domanda che sorge spontanea è: cui prodest? Dal nostro punto di vista vogliamo ricordare che il senatore Filippi, nella scorsa legislatura, fu cofirmatario di una proposta di legge tesa all’introduzione del casco obbligatorio, altro intervento mortale per la ciclabilità mascherato da sollecitudine per la sicurezza, inesistente in larga parte del mondo e laddove applicato come in Australia subito ritirato per la sua capacità di abbattere in breve tempo la quota di commuter ciclisti in strada. Da ciò deriva un’ulteriore, profonda sfiducia, diremmo sospetto, in ciò che anima Filippi quando se ne esce con queste proposte. Vista l’assurdità, e l’incongruenza, della proposta odierna possiamo pensare che Filippi voglia curare non già gli interessi collettivi ma -legittimamente, eh- quelli del suo collegio elettorale, la Toscana. Cosa si costruisce in Toscana che potrebbe essere danneggiato dalla crescita della ciclabilità? Rispondetevi, ché a noi non va di prendere querele.

Ps: se non volete credere a noi, potreste dare fiducia però a loro.

 

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